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29.12.2024 - Il Sole 24 Ore

29 dicembre 2024 

Il Sole 24 Ore 

L'indulto parziale può dare certezza alla pena, umanizzare le carceri e abbattere la recidiva

di Renato Brunetta 

Si dice, nel gergo giuridico ma ormai anche nel linguaggio comune, «certezza della pena», per intendere la preoccupazione che questa esprima gli effetti per i quali è stata prevista e adottata, e tra questi anche quelli che la Costituzione non prevede. E cioè: il risarcimento per le vittime, il primato della giustizia nelle relazioni umane, la deterrenza rispetto ai comportamenti illeciti o propriamente criminali. 

Non ho citato volutamente la rieducazione del condannato, l'unico principio che la Carta fa suo nell'articolo 27, perché si tratta di un principio controintuitivo della civiltà giuridica, mentre voglio qui, anzitutto, riferirmi al modello di giustizia percepita dal corpo sociale nel nostro momento storico. In questo mi associo alla nobile esortazione del vicepresidente del CSM Fabio Pinelli, che in un'intervista all'Avvenire ha esortato le forze politiche a ragionare sulla ipotesi di un indulto parziale, con argomenti dello stesso segno. In un carcere sovraffollato, luogo di isolamento, umiliazione, malattia e morte, la pena rischia di perdere la certezza dell'esempio, che è la vera fonte di legittimazione della potestà punitiva, per trasformarsi invece in certezza della recidiva.

Lo Stato può punire perché, a differenza di chi si macchia di un reato, non cede all'irrazionalità, non pratica la vendetta, che invece è la leva del male, non punta all'isolamento e all'emarginazione degli individui, ma fa piuttosto comunità. Nelle condizioni date c'è il rischio che la pena venga meno alla sua certezza, intesa nel senso più ampio. Perciò una riflessione pragmatica sul rischio di questo tragico capovolgimento diventa ineludibile per qualunque responsabilità politica. Carceri in cui, in un solo anno, 89 detenuti si tolgono la vita e 243 muoiono diventano luoghi in cui l'obiettivo della pena si capovolge nel suo opposto. Anziché risarcire le vittime e la società, si cade in una crudeltà che è solo un simulacro di giustizia, mentre la deterrenza viene tradita, trasformando la detenzione in una scuola del crimine.

Certezza di recidiva, per l'appunto, esattamente il contrario del proposito iniziale. Se si comprende il senso di questo ribaltamento, si può capire perché lo stesso lungimirante intento ebbero i padri costituenti quando indicarono nell'articolo 27 l'unica funzione che la Carta attribuisce alla pena, e cioè la rieducazione del condannato. Che non è un principio di indulgenza cristiana, e neanche un sociologismo deresponsabilizzante che scarica sulla società le colpe del reo, ma piuttosto l'unico obiettivo di politica criminale che la Carta riconosce alla giustizia. Recuperando il condannato, la giustizia risarcisce le vittime e la società, scongiura il rischio che delinqua nuovamente e che il male si replichi tra una generazione e l'altra, come una sorta di religione incivile. Così la pena torna a essere esempio, anzi «exemplum», oserei dire con un termine tratto dalla retorica medievale, cioè percorso che porta alla salvezza a beneficio di tutti. Se si accetta questo approccio pragmatico, certezza della pena diventa rieducazione, istruzione, formazione lavoro, ricostituzione di un capitale umano che parrebbe perduto, ma anche risarcimento delle vittime, poiché i proventi della produttività che questo percorso sviluppa possono essere destinati a sostenere le famiglie colpite dai reati. Ma non basta. 

La certezza della pena è anche prevenzione: significa investire nei contesti sociali più fragili. L'intervento su Caivano rappresenta un fiore all'occhiello di questo governo, ma deve trasformarsi nel modello di una rete più ampia e capillare, capace di offrire protezione e promuovere la rigenerazione sociale. Non finisce qui. Perché la certezza della pena ha effetti anche all'interno del sistema della giustizia. Vuol dire restituzione della pena alla sua funzione di mezzo, cioè rinuncia a una supplenza che la pena è venuta assumendo, facendosi carico di altre parti mancanti del sistema, fino a costituire una giustizia carcero centrica, che sembra dipendere unicamente dal suo rimedio estremo. Ne è prova l'abuso della custodia cautelare nel nostro sistema, che si spiega solo con la funzione debordante e anticipatrice che la pena ha finito per svolgere, perdendo la sua certezza, cioè il suo ineludibile ancoraggio alla condanna. 

È con il medesimo approccio pragmatico che il CNEL, che rappresento, d'intesa con il ministro guardasigilli Carlo Nordio, ha inteso impegnarsi per restituire alla pena la sua certezza, gettando un ponte tra il carcere e la società, portando il lavoro e l'istruzione al centro di un grande progetto di inclusione sociale che vede protagonisti le imprese, i sindacati, il volontariato, il sistema scolastico, universitario e gli enti locali. L'obiettivo è trasformare gli interessi, di cui i corpi intermedi sono portatori, in responsabilità e virtù civiche, cioè in valore aggiunto per la comunità, attraverso un'operazione vantaggiosa per tutte le parti coinvolte i detenuti, a cui sarebbe offerto un percorso autentico di risocializzazione; la società e l'economia, che vedrebbero trasformata la spesa del sistema penitenziario in un investimento produttivo; e le vittime dei reati, a cui sarebbe restituita anzitutto la speranza che il male da loro sofferto non si ripeta, e nel cui fondo dedicato sarebbe convogliata una quota della ricchezza prodotta. È quella che si dice una scommessa "win-win", da vincere in tre: detenuti, società e vittime. Il Ministero della giustizia e il CNEL hanno deciso di affrontarla insieme e con un accordo interistituzionale hanno assunto l'impegno di garantire percorsi di formazione e lavoro per contrastare la recidiva e dare compiuta applicazione al principio costituzionale di rieducazione della pena. Nel maggio del 2024 l'Assemblea del CNEL ha approvato all'unanimità il primo Disegno di legge della XI Consiliatura, recante «Disposizioni per l'inclusione socio-lavorativa e l'abbattimento della recidiva delle persone sottoposte a provvedimenti limitativi o restrittivi della libertà personale emanate dall'autorità giudiziaria», trasmesso alle Camere. Ha istituito un Segretariato permanente per l'inclusione socio-lavorativa dei detenuti, che persegue l'obiettivo di «Recidiva Zero», coinvolgendo tutte le parti sociali e i corpi intermedi presenti nel CNEL. Da questo punto di osservazione l'appello del vicepresidente del CSM Fabio Pinelli è la parte che mancava alla definizione di un progetto olistico di restituzione della pena alla propria funzione specifica: l'ipotesi di un indulto parziale, che coinvolga i detenuti per reati meno gravi, cioè coloro che il lavoro può recuperare alla società e il carcere può cronicizzare in professionisti criminali, realizza almeno quattro obiettivi: umanizzare le carceri, concorrere ad abbattere la recidiva, risarcire vittime e società, produrre ricchezza. 

Una pena così «certa» realizzerebbe i propri effetti retributivi, deterrenti e, naturalmente, rieducativi, in una visione d'insieme, la sola vincente, indirizzando la capacità punitiva dello Stato verso un obiettivo di inclusione sociale. Ma, soprattutto, non avrebbe controindicazioni politiche.