“Il lavoro si crea se si costruiscono le condizioni economiche per lo sviluppo, se si individuano le filiere produttive in cui scommettere ed investire. La sfida più urgente per il Paese è mettere al centro delle politiche pubbliche la scuola e l’università”. Lo sostiene la Vice Presidente del Cnel e Segretaria confederale della CGIL, Gianna Fracassi, in un’ampia intervista esclusiva sulle principali sfide sociali, dell’economia e dell’occupazione.
Domanda. Povertà, Mezzogiorno, lavoro giovanile e famiglia sono le quattro emergenze nazionali individuate dal CNEL nel Parere sul DEF 2018. C’è, a suo avviso, un elemento comune a questi aspetti su cui puntare per la ripresa?
Risposta. Le disuguaglianze sociali ed economiche sono aumentate nel corso degli ultimi anni diventando, allo stesso tempo, causa ed effetto della crisi. Ciò è avvenuto perché le risposte alla crisi messe in campo dai governi, tra cui, in particolare, le politiche di austerità hanno contribuito ad un maggiore impoverimento di fasce sempre più larghe della popolazione. Invertire la tendenza significa cambiare profondamente le politiche economiche... per questo credo che il tratto che accomuna i temi – molto diversi tra loro- che il CNEL ha sottolineato nel parere sul DEF 2018 sia esattamente rimettere al centro delle politiche pubbliche i problemi e i bisogni sociali delle persone. Non bastano più gli interventi spot e le misure una tantum, servono interventi strutturali e un cambiamento della politica economica. Da questo punto di vista è necessario definire un programma di investimenti pubblici, selezionare le priorità e governare le politiche di sviluppo.
D. L’Italia, tra i Paesi Europei, ha il tasso più basso di laureati e sconta un gap storico sulla formazione e le competenze professionali in quasi tutti i settori di lavoro. Come fare per invertire la tendenza?
Mi ha colpito molto il dato emerso dall’ultimo Rapporto OCSE-PISA sulla resilienza scolastica che prende in esame il numero di quindicenni scolarizzati provenienti da ambienti sociali svantaggiati capaci di ottenere buoni risultati, che, per il nostro Paese, è inferiore alla media Ocse ma anche sotto il dato delle principali nazioni europee. Percentuale che in pochi anni è scesa di quattro punti. Prendo a riferimento questo dato perché mi sembra coerente con l'aumento delle disuguaglianze economiche e sociali che poi generano segregazione che neppure la scuola riesce a colmare. Come innalzare le competenze e i livelli di istruzione nel nostro Paese dovrebbe essere il tema al centro del dibattito pubblico: se non aumentiamo i livelli di istruzione e le competenze come possiamo pensare ad esempio di agganciare, ad esempio, la sfida della digitalizzazione? Questo è un tema fortemente correlato con le politiche di sviluppo e anche – aggiungo - con il rafforzamento dei processi democratici. Ma non vedo – come sempre purtroppo - interesse e attenzione. Ed è un grave errore che pagheremo nei prossimi anni. Per arginare questo fenomeno immagino un grande progetto che rafforzi la filiera dell’istruzione a partire dai servizi educativi all'infanzia, coinvolgendo tutte le scuole di ogni ordine e grado, fino all'aumento del tempo pieno, magari anche innalzando l'obbligo scolastico. Ma non basta ancora. L’Italia non ha mai realizzato il sistema dell'apprendimento permanente nonostante abbiamo sancito con legge il diritto all'apprendimento permanente. Per affrontare tutto questo credo sia necessario uno sforzo collettivo: mettere la scuola e l'università al centro delle politiche pubbliche, aprendo una discussione di merito che coinvolga i soggetti sociali e le istituzioni. Su questo credo che il CNEL potrebbe dare un contributo importante.
D. Qual è la sfida più urgente per il mercato del lavoro?
Sono due: la qualità del lavoro e la capacità di creare occupazione soprattutto per i giovani e le donne. Il dato della disoccupazione giovanile e femminile nel nostro Paese e il livello di precarizzazione credo misuri meglio di ogni altro il fallimento delle politiche sul lavoro degli ultimi venti anni. Si è pensato che il lavoro si creasse modificando - e per quanto mi riguarda peggiorando - le norme sul lavoro, aprendo così ulteriori spazi di precarietà. Non ha funzionato evidentemente. Il lavoro si crea se si costruiscono le condizioni economiche per lo sviluppo, se si individuano le filiere produttive in cui scommettere ed investire. Partirei dalle emergenze di questo paese: messa in sicurezza del territorio, infrastrutture materiali ed immateriali, risposte ai bisogni sociali con un mix di investimenti pubblici e privati. E poi ovviamente lavoro di qualità, con diritti e tutele. Dobbiamo smettere di competere al ribasso sul lavoro, questa credo sia la responsabilità che abbiamo per i giovani di questo paese ai quali dobbiamo offrire speranze concrete di buona occupazione. Aggiungo che il dato dell'occupazione femminile soprattutto in alcune aree del paese è impressionante: credo che si debba pensare a politiche dedicate sia a favorire l'occupazione femminile, a qualificarla – ad esempio il dato dei part time involontari che riguarda essenzialmente donne è significativo – e ad implementare le politiche di conciliazione.
D. Il nuovo corso del Cnel, di cui lei è Vice Presidente, si propone di rinvigorire il confronto tra le parti sociali e produttive del Paese. Cosa è mancato negli ultimi anni nel rapporto tra governo e sindacati?
Negli anni che abbiamo alle spalle, purtroppo, è stata perseguita l'idea della disintermediazione nel rapporto con le organizzazioni sindacali, ma in generale le parti sociali ed economiche. È una idea sbagliata – tanto più se agita nella fase acuta della crisi che ha colpito pesantemente il lavoro e importanti settori produttivi di questo Paese – e dannosa per i lavoratori. Sbagliata e dannosa perché soprattutto in un mondo del lavoro che diventa sempre più frammentato, c'è bisogno di più sindacato e di più rappresentanza dare forza ai lavoratori soprattutto a quelli più deboli. Poi aggiungo che la rappresentanza sociale ed economica in questo Paese è una parte fondamentale dei processi democratici: bisognerebbe non dimenticare mai il senso e il valore che la nostra stessa Costituzione ha attribuito alla libera organizzazione sindacale e in generale alla rappresentanza sociale. Il Cnel è esattamente coerente con quei valori,- per dirla con Di Vittorio - aveva e ha il ruolo di dare la possibilità alle parti economiche e sociali “di esercitare un'influenza nell'evoluzione sociale ed economica del nostro Paese”. Non credo che questa non sia più una esigenza attuale anzi osservo che paradossalmente è addirittura cresciuta.
D. Secondo le anticipazioni dell’ultimo Rapporto SVIMEZ la vera criticità del Paese è la mancanza di investimenti pubblici e lo sbilanciamento tra Nord e Sud. Quali sono i settori in cui c’è maggior bisogno dell’intervento pubblico?
I dati Svimez confermano l'accrescimento del divario tra le diverse aree del Paese e la necessità di assumere questo tema come tema nazionale. È illusorio infatti pensare che possiamo determinare maggior crescita e sviluppo se il gap non si colma. Sugli investimenti pubblici in parte ho già detto. Aggiungo per il Mezzogiorno che vanno rafforzate le reti sociali pubbliche, sanità e istruzione, e definite sinergie insieme alle regioni, a partire dalle risorse che ci sono, penso ai fondi europei sui quali il nostro paese sconta un ritardo fortissimo nella spesa. Poi c'è il tema delle politiche industriali che in modo particolare al Sud, ma non solo al Sud, dovrebbero vedere un governo ed un coordinamento maggiore a livello centrale, cioè definire le filiere di intervento, programmare e immaginare lo sviluppo industriale nei prossimi anni, alla luce delle grandi sfide che abbiamo di fronte come la digitalizzazione e l’ambiente.
Intervista a Gianna Fracassi, Vice Presidente del Cnel e Segretaria confederale della CGIL
Intervista a Gianna Fracassi, Vice Presidente del Cnel e Segretaria confederale della CGIL
Intervista a Gianna Fracassi, Vice Presidente del Cnel e Segretaria confederale della CGIL
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