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TREU: IL LAVORO È CAMBIATO, SERVONO NUOVE REGOLE

TREU: IL LAVORO È CAMBIATO, SERVONO NUOVE REGOLE

31 agosto 2018

“La minaccia della rivoluzione digitale per il lavoro ha riaperto in Europa il dibattito non solo sulla flessibilità degli orari, ma sulla loro riduzione. Il recente contratto dei metalmeccanici tedeschi ha riconosciuto il diritto dei lavoratori di ridurre (per due anni) l’orario settimanale a 28 ore (con parziale riduzione del salario) con il diritto a ritornare all’orario normale (di 35 ore). In cambio ai datori di lavoro è stata riconosciuta una maggiore flessibilità nell’organizzazione di tali orari. E il part time sta diffondendosi (non sempre volontario) configurandosi come un sistema diffuso di ridistribuzione del lavoro spesso all’interno della famiglia.

Il cambiamento è così profondo che sta manifestando la inadeguatezza non solo delle regole tradizionali ma delle stesse categorie fondative del diritto del lavoro, a cominciare da quella di lavoro subordinato. Non si tratta di dubbi espressi da giuristi teorici, ma da incertezze che pervadono, il legislatore, le parti sociali e le stesse decisioni della magistratura”.

 

Lo afferma Tiziano Treu, Presidente del CNEL e Presidente della ISLSSL, Società Internazionale di diritto del lavoro e della sicurezza sociale, che dal 4 al 7 settembre a Torino, presso il campus dell’ILO delle Nazioni Unite, ospita il Congresso dei maggiori esperti mondiali di diritto del lavoro.

All’evento, partecipano oltre 500 esperti provenienti da tutto il mondo, per presentare, analizzare e confrontarsi sull’evoluzione del lavoro, sulle politiche del welfare e di sostegno al reddito adottate dai vari Paesi, sul ruolo dei migranti nelle nostre società, sui numeri enormi del lavoro “informale” nei diversi continenti, sulla contrattazione collettiva e sul ruolo degli Stati nelle nuove relazioni industriali.

 

Non ha più senso studiare soluzioni per il lavoro e la previdenza con orizzonti nazionali” – continua Treu – “L’affermazione del lavoro informale, la Gig economy, la flessibilità legata all’economia digitale che supera i confini geografici, hanno cambiato totalmente la prospettiva.

 


I risultati della ricerca sul futuro del lavoro

I 500 esperti di diritto del lavoro che si incontreranno a Torino hanno lavorato due anni, divisi in sette gruppi di ricerca, per fornire ai Governi e ai Parlamenti dei rispettivi Paesi una maggiore possibilità di efficacia per le policy che vorranno adottare in futuro. La disciplina del diritto del lavoro è stata costruita per un secolo su basi nazionali, infatti, ora il suo oggetto si sta trasformando ad opera della crescente interdipendenza non solo fra imprese e istituzioni finanziarie in diversi paesi ma anche fra gli interi sistemi nazionali, giuridici e sociali.


  • L’impatto della globalizzazione e delle tecnologie digitali sul mondo del lavoro può essere influenzato dalle scelte delle istituzioni e degli attori pubblici e privati. La sfida riguarda anzitutto il ruolo dello  Stato “regolatore” dei rapporti e del mercato del lavoro.
  • Fenomeni epocali come le migrazioni di massa introducono aspetti drammatici per la regolazione delle condizioni di lavoro, mettendo a dura prova la effettività dei diritti e minacciando la vita stessa delle persone. Altri aspetti di sicurezza, di accoglienza, di integrazione degli immigrati, sono oggetto di accordi interstatali fragili e inadeguati, come si è visto con le drammatiche vicende europee, riferite in 
  • La inadeguatezza dei “sistemi di sostegno al reddito” a rispondere ai bisogni delle persone in difficoltà e la crescente diffusione delle varie forme di povertà hanno stimolato la previsione in quasi tutti i paesi europei di forme di reddito minimo.
  • Le proposte di istituire un reddito di cittadinanza (o di base) generalizzato e svincolato da ogni condizione sono state ampiamente discusse; hanno avuto sperimentazioni limitate e di esito ancora incerto; ma non sono state finora adottate come misura generale.
  • Le situazioni legati alla presenza di rifugiati e di immigrati irregolari.
  • In molte parti del mondo e in particolare dei paesi emergenti, l’economia e il “lavoro informale” -  come ricorda l’ILO -  comprendono oltre il 75% delle attività di business e dei lavoratori occupati.  A questo si aggiunge che – come sottolineano con preoccupazione i sindacati europei - le forme più recenti di crowdworking possono portare a una diffusione ancor più incontrollata di lavoro informale.
  • L’economia digitale, la Gig economy e i lavori su piattaforma hanno già creato casi di dibattito nazionale (es. Foodora, Uber ecc…) Rispetto a questi fenomeni ci sono consistenti diversità nelle soluzioni adottate dai vari Paesi. Probabilmente sono esagerate le stime che annunciano a breve la distruzione di maggior parte dei lavori tradizionali, ma l'impatto è destinato a crescere. I lavori su piattaforma, quelli della Gig Economy che sono un esempio estremo di lavoro “any time any where”, sono già esplosi in tutto il mondo. In California, che spesso anticipa alle tendenze dell'innovazione, già 400.000 autisti di Uber si sono mobilitati e hanno fatto causa alla piattaforma aziendale. E le stime parlano di oltre 14 milioni di lavoratori digitali già attivi negli USA. in ogni caso l’incidenza delle innovazioni digitali sull’occupazioni è destinata a crescere soprattutto in lavori tradizionali ripetitivi.

 

La rivoluzione della Gig Economy

I casi di Uber e Foodora enfatizzano una tendenza più generale. “Ci sarà un po' di autonomia nelle forme più avanzate di subordinazione e un po' di dipendenza nei lavori autonomi inventati dalla rete. I giudici europei, come quelli di Common Law, si dividono fra quelli che cercano di includere i lavori della Gig economy nell'ambito della subordinazione per riconoscere loro i relativi diritti e chi viceversa rileva la presenza prevalente di tratti di autonomia. La variabilità di questi lavori sconsiglia soluzioni affrettate e non è utilmente contrastata  moltiplicando i tipi di contratti, come hanno fatto alcuni paesi (fra cui l’Italia)”, continua Treu.

Servono politiche che si occupino parallelamente dello sviluppo economico e dello sviluppo sociale, di azioni per il sostegno alla legalità e per il rafforzamento delle reti sociali.

Un intervento più diretto può configurarsi nei confronti di quel lavoro informale o irregolare che si manifesta nei processi di decentramento produttivo (catene di appalti e subappalti) diffusi anche in settori avanzati dell’economia”.

 


La situazione nei diversi Paesi

Altrettanto diversificati sono gli atteggiamenti dei legislatori di altri Paesi europei e non. “Alcuni hanno creato categorie intermedie di contratti di lavoro variamente denominate: lavori parasubordinati, (Italia) economicamente dipendenti, (Spagna) rapporti simili al lavoro subordinato, (Germania) workers (nel Regno Unito). Ma la creazione di queste nuove categorie non ha reso più certi i confini fra gli stessi e tali normative si sono rivelate di difficile applicazione. Rafforzamento dell’identità professionale e investimenti mirati di formazione sono una buona strategia per promuovere eguaglianza di opportunità nell’era digitale”. Sostiene il Presidente del CNEL, che poi riflette sugli scenari futuri. 

 

Parallelamente alle misure di formazione devono essere specificati i diritti sociali, con norme attuative di legge o di contratto collettivo che ne determinino i contenuti (in primis il diritto a una equa retribuzione per il lavoro svolto, visto l’emergere del fenomeno tradizionalmente sconosciuto dei working poors)".

 


La sicurezza sociale

Il congresso torinese dedicherà spazio anche ad un tema di grande attualità, non solo per l’Italia.

“Di fronte alla riduzione delle risorse finanziarie disponibili per la spesa sociale, alla crescente volatilità dei percorsi di lavoro che riduce la base imponibile e contributiva e di fronte ai cambiamenti demografici con allungamento delle aspettative di vita e decrescenti tassi di natalità, le riforme nazionali hanno cercato di garantire la sostenibilità finanziaria ma non si sono concentrati sulla sostenibilità e sulla protezione sociale.” – spiega Tiziano Treu – “Anzi in molti casi, come rilevano le indagini ufficiali dell’Ocse ed europee, la sostenibilità finanziaria è stata raggiunta a scapito della adeguatezza delle prestazioni per i beneficiari attuali e ancora più per quelle destinate ai beneficiari futuri. Ne sono drammatiche conseguenze le diseguaglianze e la povertà che sono cresciute in modo particolare fra le giovani generazioni fino al punto di mettere a rischio quel patto intergenerazionale che ha retto finora i nostri sistemi di welfare”.

 

Gli interventi necessari per soddisfare entrambe le condizioni, di sostenibilità finanziaria e di adeguatezza sociale, richiedono strategie complessive per una crescita e qualità dell’occupazione, in grado di sostenere gli istituti della sicurezza sociale che da questa dipendono.

 

L’adozione del reddito minimo in aggiunta alle misure esistenti comporterebbe un aumento della spesa sociale difficilmente sostenibile. Viceversa la sua introduzione in sostituzione delle altre misure rischierebbe di aumentare le diseguaglianze sociali anziché diminuirle in quanto le persone svantaggiate beneficiano di più del ricchi delle varie prestazioni di protezione sociale come ora configurato". Forme di salario legale minimo ormai sono diffuse in quasi tutti i Paesi. Si tratta di un istituto che integra la funzione corrispettiva della retribuzione con la funzione sociale di garantire livelli di compenso adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori e quindi di prevenzione e di contrasto della povertà.

Negli anni recenti si è anche registrato un crescente interventismo statale in molti settori del diritto del lavoro, della sicurezza sociale, e finanche nella regolazione delle nelle relazioni industriali che sono da sempre un’area particolarmente resistente a interventi eteronomi. Questi interventi legislativi hanno solo in parte seguito traiettorie comuni.

Per lo più hanno accentuato le divergenze normative e di policy anche in aree relativamente omogenee e da tempo impegnate alla convergenza come la Unione Europea, fino al punto di profilare inedite tendenze al nazionalismo anche in ambito sociale.

Il ruolo dello Stato come attore di regolazione e di policy continua ad essere decisivo e senza competitors, ma risulta indebolito per il convergere di motivi diversi: concorrenza fra Stati e il trasferirsi di molte decisioni essenziali per il vivere comune in ambiti più vasti; trasformazioni tecnologiche e sociali che hanno inciso sulla efficacia degli strumenti di regolazione e di policy.  

In mancanza di regole transnazionali efficaci delle condizioni di lavoro, le tendenze alla competizione e alla divaricazione fra i sistemi nazionali sono destinate ad accrescersi”.