"I mutamenti tecnologici hanno inciso non solo nella modalità di esecuzione della prestazione di lavoro ma anche, se non soprattutto, sull’organizzazione delle imprese". È una delle tesi sostenute da Michele Faioli e Silvia Ciucciovino, Consiglieri del CNEL, nel nuovo Quaderno scientifico del Cnel.
Michele Faioli (Università di Roma Tor Vergata) e Silvia Ciucciovino (Università Roma Tre), con questo lavoro, intervengono nel dibattito sulla gig-economy, focalizzando la riflessione sulle tutele dei lavoratori e sui cambiamenti intervenuti nell'organizzazione aziendale.
"Nella gig economy le funzioni di datore di lavoro non sono svolte da un soggetto organizzato verticalmente ma, bensì, dalla piattaforma digitale che permette la gestione dei rapporti di lavoro che a essa sono collegati", si legge nel volume, disponibile gratuitamente sul sito del Cnel e presto come ebook sulle principali piattaforme. "Il ragionamento sulle tutele applicabili ai gig workers potrebbe muovere non tanto dai cambiamenti che l’avvento della gig-economy ha determinato nella figura del prestatore di lavoro ma, piuttosto, dal mutamento della nozione di datore di lavoro".
Negli Stati Uniti, a fine 2015, la stima era che circa lo 0,5% degli occupati fosse impiegato in attività di gig economy3. Nel 2016, includendo oltre agli Stati Uniti anche i paesi UE-15, un’approfondita ricerca del McKinsey Global Institute stima che la quota di independent workers sia il 20-30% della popolazione in età lavorativa, di cui circa il 15% ha lavorato per piattaforme digitali. Nel 2017 le ricerche del Chartered Institute of Personnel and Development stimano, per il Regno Unito, circa 1,3 mln di gig workers, pari al 4% degli occupati. In Italia, nel 2017, secondo un’indagine della Fondazione De Benedetti i lavoratori della gig-economy 700 mila. Di questi, 150 mila hanno svolto lavori nella gig-economy, essendo essi l'unica fonte di reddito.
Sono state proposte alcune (parziali) soluzioni sulla re-introduzione di terzi tipi di lavoro (lavoro parasubordinato o coordinato), o che muovono dall’inadeguatezza dei sistemi legali nell’applicazione di tutele in materia di salario, orario di lavoro, controllo, libertà sindacali e sciopero.
"Ma come incasellare i riders nello schema tipico della subordinazione o dell’autonomia?", scrive Silvia Ciucciovino nell'introduzione. "Qualsiasi intervento legislativo che volesse agire sui presupposti qualificatori, fornendo una volte per tutte una qualificazione per legge di simili lavori incorrerebbe nell’evidente forzatura di incasellare in uno schema dato un rapporto lavorativo che effettivamente può assumere nella realtà tante diverse fogge, con il conseguente noto problema di costituzionalità più volte affrontato dalla Consulta connesso alla disponibilità del tipo contrattuale, preclusa allo stesso legislatore".
Ci si chiede anche quale sia la prospettiva per affrontare al meglio il problema, che diventa di sempre maggiore attualità, osservando i fatti di cronaca anche recenti (la recente morte del rider a Milano) e gli sviluppi giurisprudenziali, a livello nazionale e internazionale (Tribunali di Torino e di Milano, la Corte di Cassazione francese, etc.).
Michele Faioli, nel Quaderno, propone una prospettiva nuova per analizzare il lavoro nella gig-economy. In particolare, nei più recenti studi giuslavoristici e nei tentativi di regolazione (legislativa e contrattuale) in materia di gig-economy, il problema posto riguarda prevalentemente la qualificazione del lavoro svolto dai riders (lavoro autonomo vs lavoro subordinato). Ma ciò non basta. Bisogna andare oltre. Cioè, il problema della qualificazione (lavoro autonomo vs lavoro subordinato) non è sufficiente per comprendere il fenomeno. La gig-economy, per Faioli, è una forma di matchmaking tra domanda e offerta di lavoro. Ci sono opportunità di lavoro, offerte mediante piattaforma digitale, che consentono una certa conoscibilità del mercato del lavoro e, dunque, maggiori occasioni di accesso al lavoro. Il che, spesso, si combina con esigenze personali di flessibilità e, in altre circostanze, purtroppo, si declina con forme di precarietà, anche esistenziali.
Da ciò Michele Faioli elabora alcune tesi volte a riportare le piattaforme di gig-economy verso soggetti che operano forme di intermediazione/matchmaking tra domanda e offerta di lavoro. Tali tesi, se condivise, potrebbero condurre la contrattazione collettiva e, probabilmente anche la legge, a prendere in considerazione l’introduzione di discipline protettive più adatte a regolare il lavoro nella gig-economy.
Nei Quaderni scientifici del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, rivolti alla comunità scientifica e ai cittadini, sono pubblicati studi volti a contribuire al dibattitto scientifico sui temi in discussione presso il Consiglio stesso.
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