25 gennaio 2025
Il Sole 24 Ore
Più democrazia con l'IA partecipativa
di Renato Brunetta
L’esperienza ci insegna che più cresce la potenza delle macchine, più è richiesto all’umano di mettersi in gioco. Sormontare l’intelligenza artificiale vuol dire imparare a navigare di bolina, bordeggiando contro la direzione del vento. Ma prima di tutto misurarne la sua forza crescente.
È con questo spirito che il CNEL, che ho l’onore di presiedere, ha lanciato «OPERA», acronimo di Osservatorio delle politiche e relazioni industriali per l’intelligenza artificiale partecipativa. Si ispira al pensiero di Hannah Arendt, vale a dire all’idea che l’attività umana crei oggetti duraturi e artificiali con valore collettivo, e punta a implementare un database di casi aziendali di applicazione di IA partecipativa che prevedano il coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti finali e delle comunità. OPERA permetterà di monitorare e analizzare le applicazioni dell’IA nelle aziende con un forum permanente di dialogo tra i principali attori delle relazioni industriali - sindacati, datori di lavoro, governo, accademici - per favorire lo scambio di buone pratiche e di proposte con gli stakeholder nazionali e internazionali, e con le istituzioni sovranazionali come il Comitato economico e sociale europeo (CESE).
Non è più tempo di nostalgie luddiste, figlie della paura del nuovo e dell’ideologia. Non è più tempo di nevrosi regolatorie proprie della seconda rivoluzione industriale, quando si trattava di difendere i lavoratori alienati dagli abusi dei detentori dei mezzi di produzione. Il mondo digitale ha archiviato una volta per tutte il paradigma contrappositivo tra capitale e lavoro, sostituendolo con uno spazio cooperativo in cui i lavoratori possono fare propri gli obiettivi d’impresa e concorrere a costruire un welfare orientato ai loro bisogni, ma anche alle loro aspirazioni e ambizioni individuali, attraverso forme di retribuzione premiale. In sostanza, come sostiene Maurizio Sacconi, si può realizzare una nuova cultura cooperativa delle relazioni di lavoro nelle quali più che l’articolo 18 conterà il diritto-dovere ai continui incrementi di professionalità.
È in questo contesto già mutato che la sostituzione delle macchine intelligenti alle vecchie strutture di produzione sortirà sul breve l’effetto bifronte tipico di ogni rivoluzione industriale che si rispetti: da una parte la riduzione dei compiti svolti dall’umano, con una decrescita della domanda di lavoro; dall’altra la nascita di nuovi compiti e figure professionali connesse all’introduzione dell’intelligenza artificiale.
Che questo scambio duale non sarà privo di costi sociali è giusto e doveroso tenerlo in conto. Ma senza ignorare che, molto prima della fine di questo processo, l’aumento della produttività complessiva farà ragionevolmente aumentare la crescita economica aggregata e, quindi, anche la domanda di lavoro non automatizzato.
Secondo il modello sviluppato da Ambrosetti (su modelli proprietari 2024), in Italia gli effetti della IA generativa sulla produttività sono stimabili in 312 miliardi di valore aggiunto annuo, pari al 18,2 per cento del nostro Pil.
Ciò nondimeno si avverte la necessità di una riorganizzazione sociale capace di assecondare il nuovo modo di produrre e una più ampia partecipazione democratica alla vita delle imprese. Poiché la prima condizione, affinché la rivoluzione dell’IA possa svilupparsi in forma sostenibile, è che la distribuzione dei “guadagni di produttività”, che ne deriverà, sia efficiente, equa e inclusiva. Le fragilità che connotano la società contemporanea suggeriscono policy in grado di scongiurare ulteriori traumi sociali. La crisi del processo di globalizzazione ha alimentato, specie nei Paesi occidentali, nuove fratture, incrementando le distanze tra il vertice della piramide sociale e quella base di ceto medio che aveva rappresentato, negli anni passati, il sale dello sviluppo democratico.
Perseguire l’equità non vuol dire solo sostenere con ammortizzatori sociali adeguati i lavoratori più fragili coinvolti nei processi di automazione, ma avviare una riqualificazione professionale centrata su scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, in grado di trasferire i lavoratori in precedenza occupati nei settori più obsoleti in un ramo più alto dell’organizzazione sociale.
È necessario, in sostanza, così come già ribadivo poco meno di sei mesi fa sulle colonne di questo quotidiano, fronteggiare la rapidità del progresso tecnologico, ma anche di una più ampia partecipazione per evitare che le distanze tra le élite e popolo siano destinate ad aumentare. In definitiva di un grande “Patto sociale”, in grado di riempire il “vuoto” determinato dalla desertificazione dei corpi intermedi classici.
Promuovere dunque, così come osservato da Ivana Pais, la nostra consigliera del CNEL esperta in materia, un approccio di IA partecipativa che stimoli un ecosistema dell’innovazione garante delle democrazie.
Perché l’intelligenza artificiale, che abbia in sé la componente partecipativa, conviene. A tutti. Perché è più inclusiva, più produttiva, meno conflittuale. È più efficiente e più comunitaria. Ed è più credibile, nel dare risposte alle persone. In poche parole, l’intelligenza artificiale dà maggiore coesione sociale, che a sua volta favorisce la crescita. I Paesi, le imprese, le amministrazioni che hanno più coesione sono quelli più performanti. Il passaggio che proponiamo è proprio questo: l’intelligenza artificiale deve essere partecipativa. Vuol dire combattere gli imbrogli, gli inganni, il deepfake e la concorrenza sleale. Vuol dire semplicemente democrazia.