29 agosto 2024
Il Sole 24 Ore
Piano sui conti: come gestire il sentiero stretto della UE
di Renato Brunetta
Ci siamo. Entro la prima metà di settembre il ministero dell'Economia e delle Finanze presenterà a Governo e Parlamento il nuovo Piano fiscale strutturale di medio termine, il nuovo strumento di programmazione che sostituisce e incorpora, con la riforma del Patto di Stabilità europeo, il Documento di economia e la sua tradizionale nota di aggiornamento di settembre (Nadef). Il Piano sarà composto da due grandi capitoli, tra loro collegati. Da un lato, il tradizionale quadro macroeconomico integrato con il quadro programmatico di finanza pubblica, entro il quale andranno definiti gli obiettivi di deficit strutturale concordati con la Commissione europea. In particolare, vale la pena ricordare che, con le nuove regole, rimane nei Trattati il tetto del deficit al 3% del Pil, con il braccio correttivo che prevede un aggiustamento del deficit in termini strutturali di almeno lo 0,5% ogni anno, anche se nel calcolo non rientrerà la spesa per gli interessi sul debito fino al 2027.
Nel caso dell'Italia che, come è noto, si trova in una procedura di disavanzo eccessivo insieme a un nutrito gruppo di paesi europei (tra i quali la Francia), sappiamo già che gli obiettivi di riduzione strutturale del deficit pubblico - dunque al netto del ciclo economico - saranno di circa 0,6-0,7 punti di Pil l'anno peri prossimi anni. Un sentiero stretto, alla luce delle esigenze di redistribuzione sociale a favore delle famiglie più colpite dalla recente fiammata inflazionistica, ma non drammatico, anche perché compatibile con quanto già previsto dal Def 2023 per gli anni 2025 e 2026. La novità del documento è, però, contenuta nella sua parte strutturale, legata alla sostenibilità del debito nel medio termine, declinata in funzione del bilanciamento della spesa pubblica rispetto alla crescita economica. Per questo, la Commissione richiede un impegno a mantenere la spesa primaria (al netto degli interessi sul debito e di alcune componenti legate al ciclo economico) all'interno di un sentiero di crescita, identificato ex ante, sulla base della crescita potenziale del paese e del livello iniziale di debito, sentiero che, per l'Italia, si stima non dovrebbe essere molto lontano da un tetto di crescita del 2% l'anno in termini nominali.
L'orizzonte di questo Piano di riforme e investimenti è di norma di quattro anni. Tuttavia, i singoli paesi possono scegliere un Piano articolato su un orizzonte di sette anni, per meglio modulare il sentiero di rientro del debito pubblico, a condizione di integrare il Piano stesso con una specifica agenda di riforme e investimenti che contribuiscano alla crescita potenziale, dunque al rilancio della produttività, oltre che ai più generali obiettivi dell'Unione. Il Piano sarà poi aggiornato con un documento annuale di verifica e di eventuale rimodulazione, in stretto dialogo con la Commissione europea. La stessa Commissione sottolinea, inoltre, che l'agenda di riforme e di investimenti proposta dal Governo, oltre al dettaglio della loro implementazione nel tempo e in termini di risorse, dovrà avere quale presupposto una chiara identificazione dei fabbisogni di investimento, quantificati in funzione degli obiettivi strategici indicati sopra.
Evidentemente, tale agenda di riforme e investimenti per i primi due anni di implementazione coincide con il PNRR.
Qui si pone il tema centrale: l'effetto del PNRR non è analizzabile correttamente in una logica congiunturale odi breve periodo, in cui possono essere valutati solo gli effetti di spesa e non quelli di impatto strutturale sulla offerta e sulla produttività del sistema, che sono stimabili solo in una prospettiva di medio-lungo periodo. Si pone, dunque, il problema del "dopo 2026", e cioè della fine dello stimolo di domanda degli investimenti previsti dal PNRR, e quindi delle politiche da adottare per evitare un rimbalzo negativo al termine dell'attuazione del Piano di Ripresa e Resilienza, quale si avrebbe in una fase in cui gli effetti dell'offerta, e quindi sulla produttività, rischiano di essere ancora deboli come sostegno alla crescita. Ne consegue che con il Piano Strutturale di bilancio il Governo dovrebbe realizzare una "staffetta" ideale tra PNRR e programmazione degli investimenti a medio temine, non solo perché ce lo chiede l'Europa, ma per garantire una ordinata transizione del ciclo economico a valle del finanziamento legato a Ngeu e dunque assicurare le condizioni necessarie allo sviluppo della produttività e della crescita potenziale.
A questo riguardo, diversi osservatori non hanno mancato di far notare l'importanza strategica per il nostro Paese delle scelte strutturali che dovranno essere inserite nel Piano Strutturale, anche in chiave di continuità rispetto a quanto in corso di realizzazione nell'ambito del PNRR. Il Governatore della Banca d'Italia in diversi interventi ha sottolineato la necessità per il sistema Paese, in questo particolare contesto storico, di continuare a mantenere un sentiero di investimenti pubblici e di riforme ad essi assodati, al fine di aumentare produttività e crescita potenziale, garantendo dunque le condizioni per la sostenibilità del debito oltre che il contributo italiano alla costruzione dei beni pubblici europei su cui si sta impegnando l'Ue.
Lo stesso CNEL, nella memoria presentata nel corso dell'audizione sul Documento di Economia e Finanza lo scorso 2024, rimarcava come la conclusione del PNRR entro il 2026 indichi non tanto la necessità di prolungarne i tempi di attuazione, quanto piuttosto quella di estenderne la vita, in una sorte di ideale "staffetta" con il Piano Strutturale. Ciò implica una politica di bilancio che induda, in particolare:
a) una diversa composizione della spesa pubblica con una quota crescente di investimenti rispetto alla spesa corrente, per cui sia in termini di composizione della spesa pubblica sia, più in generale, come impieghi del reddito nazionale, e quindi di componenti della domanda, gli investimenti dovranno essere privilegiati rispetto ai consumi;
b) una concentrazione degli investimenti pubblici in alcuni settori cruciali per la produttività del sistema, quali la digitalizzazione, l'istruzione, la sanità e le infrastrutture strategiche;
c) un'azione di sostegno, anche attraverso la destinazione di ulteriori risorse finanziarie alle riforme previste nel PNRR, quali quelle della giustizia, della concorrenza e del rafforzamento delle amministrazioni pubbliche.
Sarà inoltre importante, sull'orizzonte settennale del Piano - dunque oltre la scadenza del 2026 -, iniziare a ragionare su ulteriori investimenti finalizzati ad una migliore articolazione dei rapporti di lavoro, sia per gestire il gelo demografico che caratterizzerà il nostro Paese nei prossimi anni, sia al fine di garantire una efficiente allocazione del lavoro attraverso i diversi strati della società e le diverse capacità individuali, con un corretto incrocio tra le competenze del lavoratore e i requisiti del posto di lavoro. Questo implica una corretta programmazione dei flussi migratori regolari, con un mix di competenze da ricercare in funzione dei gap di professionalità che si generano nel Paese in funzione degli investimenti nelle transizioni verde e digitale. Oltre che interventi per incoraggiare la partecipazione femminile al mercato del lavoro, in particolare nei settori Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), e per ridurre il numero di giovani Neet (Not in Education, Employment or Training), dove spesso si annidano situazioni patologiche del mercato del lavoro.
È però evidente come un'agenda di tale portata e ampiezza temporale, che va ben oltre la naturale scadenza della legislatura, vada ad interessare tutto il sistema economico e sociale nazionale nelle sue diverse articolazioni pubbliche, private e territoriali. E proprio per questo la Commissione europea raccomanda che il Piano Strutturale sia discusso da ogni singolo Governo non solo con il Parlamento e gli organismi indipendenti di valutazione dei conti pubblici, ma anche con le parti sociali e territoriali.
In qualità di Presidente del CNEL, negli scorsi mesi ho più volte sottolineato come questa particolare congiuntura storica, a livello internazionale, riporti al centro del dibattito politico l'importanza di un patto sociale in cui ricomporre la inevitabile disarticolazione dei rapporti che segue le grandi transizioni in atto. Si tratta di una disarticolazione che, se non gestita, in particolare sul mercato del lavoro, rischia di ostacolare la crescita e la modernizzazione del Paese, aggravando il gap nei salari reali che alimenta nel nostro Paese il disagio sociale. Il Governo ha già in parte dato seguito a questa sollecitazione con la conversione in legge del Dl 19/2024, prevedendo l'ingresso del Cnel, nella persona del suo Presidente, alla Cabina di Regia sul PNRR. Lo stesso CNEL ha, inoltre, attivato al proprio interno un Comitato Produttività al fine di dare seguito alla raccomandazione della Ue che prevede la creazione di comitati indipendenti per analizzare gli sviluppi e le politiche pubbliche in tema di produttività e competitività, contribuendo, insieme alle parti sociali, all'elaborazione e all'implementazione delle riforme necessarie a sostenere la crescita economica a livello nazionale. Un ruolo che il CNEL è pronto a ricoprire anche in relazione alla stesura del Piano Strutturale di Bilancio, assolvendo, così come prevede anche l'articolo 99 della Costituzione, alla funzione di ausilio tecnico nelle diverse fasi di attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche economiche e degli impatti che le diverse componenti del Piano produrranno in tale ambito. Un ruolo che presuppone, per sua natura, continuità e capacitybuilding nei processi di ascolto, dialogo e condivisione, per assicurare il principio di effettività e di partecipazione, concorrendo in maniera proattiva anche 138,6% all'avvio di una dinamica virtuosa in termini di produttività complessiva del sistema economico italiano. Al Paese servono, dunque, più crescita e più coesione sociale, obiettivi questi che si raggiungono solo in una ottica di medio-lungo periodo attraverso una strategia continua di riforme, riforme possibili solo all'interno di un patto sociale intergenerazionale. Ecco questa è la sfida che abbiamo di fronte, è bene esserne tutti consapevoli. Sono finiti i tempi degli egoismi e dei relativi consensi congiunturali che non sono mai serviti a nulla.