8 settembre 2024
Avvenire
”Lavoro e dignità contro le recidive. Così possiamo reinserire i detenuti”
Serve una vera collaborazione tra società civile, imprese e sistema della giustizia per dare attuazione al principio costituzionale della «rieducazione del condannato».
di Renato Brunetta
"Negli ultimi mesi si è riproposto in modo dirompente il problema del sovraffollamento delle carceri italiane e dell’evidente disfunzionalità del sistema penitenziario, intesa come difficoltà a svolgere la propria funzione: garantire l’equilibrio tra la sicurezza nell’esecuzione penale e la rieducazione delle persone detenute. La crisi del sistema carcerario non è connotabile come una questione di destra o di sinistra, men che mai è risolvibile con una ricetta - per così dire - politica, in cui il dato squisitamente scientifico ne risulti oscurato. Piuttosto sappiamo che l’efficienza del sistema penale è, invece, un indicatore della qualità di una democrazia, del suo livello di sviluppo e della sua capacità di riconoscere e tutelare i diritti individuali anche dove e quando il patto sociale sia stato temporaneamente infranto dalla violazione di una norma penale.
Per misurare questo livello di efficienza non abbiamo che un riferimento costituzionale, l’articolo 27, che prescrive in modo puntuale che la pena non possa “consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” e debba “tendere alla rieducazione del condannato”. La grande sfida organizzativa e sociale del carcere, e anche delle misure alternative, è dunque quella di garantire l’equilibrio tra le necessità di una corretta e giusta esecuzione della pena con quella del rispetto dei diritti, della rieducazione e del reinserimento.
LE DISFUNZIONALITÀ DEL SISTEMA PENITENZIARIO ITALIANO
Osservando il contesto italiano possiamo affermare che, ad oggi, questa sfida ad oggi il carcere la sta perdendo. I dati ci dicono che il sistema penitenziario è affetto da due disfunzionalità croniche: il sovraffollamento e l’alto tasso di recidiva, due patologie strettamente interconnesse tra loro. Il sovraffollamento, il cui tasso medio supera il 120% con punte ben superiori al 150%, non significa solo mancanza di spazi, ma è indice del peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro all’interno degli istituti, già afflitti da gravi problemi strutturali quali le scarse condizioni igienico sanitarie, la carenza di personale medico e servizi inadeguati per i bisogni dei detenuti. L’alto tasso di recidiva, di circa il 70%, mette in luce le carenze dei programmi di rieducazione e reinserimento sociale e l’inadeguatezza dell’apporto di risorse e progettualità messe a disposizione dal sistema pubblico. La gran parte delle attività trattamentali in carcere è, infatti, totalmente demandata alla libera iniziativa della società esterna, il che genera differenze significative in termini di disponibilità e qualità delle attività trattamentali.
L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE E DEL LAVORO IN CARCERE
Offrire opportunità di lavoro e di formazione ai detenuti è importante per l’ozio forzato e il senso di apatia e noia tipicamente indotti dalla condizione detentiva e migliorare, al contempo, le loro prospettive di lavoro post rilascio, spesso purtroppo scarse. Perché ciò avvenga, è necessario che il lavoro sia di elevato valore professionale, oltre ad essere svolto in condizioni sicure e con le dovute tutele. Il collegamento tra disoccupazione e recidiva, ormai accertato, conferma come l'occupazione sostenuta sia correlata a una ridotta recidività.
L’intervento del mondo dell’impresa risulterebbe, quindi, prezioso per garantire il matching tra formazione erogata ai detenuti e skill professionali richieste ai fini occupazionali, assicurando un inserimento diretto del detenuto nel mondo del lavoro in seguito al rilascio. I dati, però, ci indicano che le imprese sono poco impegnate nella causa sociale dell’inserimento lavorativo di queste persone e, quindi, del contrasto alla recidiva: del 33% dei detenuti coinvolti in attività lavorative (19.153 impiegati totali nel 2023) ben l'85%, lavora alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, usualmente per poche ore al giorno o al mese.
IL PERCORSO FATTO DAL CNEL
È dalla intuizione consapevole del Ministro Carlo Nordio circa la necessità di inserire ogni intervento di gestione dell’emergenza carceraria all’interno di un quadro sistemico di collaborazione tra società civile e sistema della giustizia imperniato sul principio costituzionale e sul coinvolgimento strutturale dei corpi intermedi e delle categorie produttive, che ha visto la luce il 17 giugno del 2023 l’accordo Interistituzionale tra Ministero della Giustizia e CNEL volto a promuovere, con attività concrete, il lavoro e la formazione quali veicoli di reinserimento sociale per le persone private della libertà.
Tre le tappe fondamentali del percorso intrapreso da DAP e CNEL. A partire dalla giornata del 16 aprile in cui si sono confrontati più di 400 addetti ai lavori. Un momento non episodico che ha ristabilito un ponte e individuato nel CNEL un “luogo” deputato alla condivisione di esperienze, opportunità, criticità, proposte e alla connessione tra i diversi attori. Sei sessioni di lavoro tematiche con proposte operative per identificare spunti e indicazioni per le tappe successive: la stesura del disegno di legge del CNEL sul reinserimento socio-lavorativo dei detenuti e la costituzione del Segretariato permanente per l’inclusione economica, sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale.
IL CONTENUTO DEL DISEGNO DI LEGGE
Il disegno di legge scaturito dall’accordo è volto ad offrire ai decisori pubblici strumenti giuridici idonei a migliorare l’attuale sistema di governance, agevolando - al contempo - l’elaborazione di una politica pubblica nazionale sul lavoro in carcere. La rivisitazione complessiva in materia di ordinamento penitenziario intende, quindi, concorrere alla strutturazione di una rete interistituzionale volta a gestire l’inclusione lavorativa nella sua globalità sia in carcere che nella fase post-rilascio. Declinando il principio costituzionale, viene prevista l’equiparazione tra lavoratori liberi e lavoratori ristretti. Tra le misure: il recepimento del sistema regionale di governance multilivello, la valorizzazione della Cassa delle Ammende, la costituzione di un fondo volontario alimentato dalle fondazioni bancarie; e ancora il potenziamento della “Legge Smuraglia”, delle commissioni carcerarie e di quelle regionali per il lavoro penitenziario, fino al “collocamento mirato” dei giovani detenuti. E ancora, una piattaforma informatica e un punto unico di accesso per la sistematizzazione delle relazioni tra imprese e carceri.
LA COSTITUZIONE DEL SEGRETARIATO PERMANENTE
In attesa dell’esame del disegno di legge, per dare coerente seguito all’accordo con il Ministero della Giustizia, il CNEL ha poi costituito un "Segretariato permanente per l’inclusione economica, sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale”, organismo interno al Consiglio, che vuole concorrere, in stretto raccordo con il DAP e attraverso il coinvolgimento dei corpi intermedi, alla realizzazione di un sistema integrato per il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti. Le reti non mancano, manca la loro sinergia operativa, da realizzarsi attraverso il Segretariato, accompagnando la complessità dei tanti attori coinvolti e facilitando l’interconnessione tra reti istituzionali, parti sociali e terzo settore.
CONCLUSIONI
La prescrizione costituzionale dell’art. 27 non solo esprime il fine istituzionale del sistema penale in un paese civile, ma anche il fondamentale contributo al progetto democratico e alla coesione sociale del nostro paese. Una democrazia compiuta deve essere capace di riconoscere e tutelare i diritti individuali anche dove e quando il patto sociale è stato temporaneamente rotto dalla violazione di una norma penale, prediligendo la rieducazione quale unico strumento che può disarmare la vendetta, la devianza e l’antisocialità. Affrontare efficacemente il tema della recidiva, può aiutarci a migliorare la nostra capacità di misurarci col complesso e più generale problema dell’inclusione sociale. Non integrare le persone abitualmente escluse dai processi di creazione di valore sociale ed economico (non solo ex-detenuti ma anche persone con altre forme di vulnerabilità sociale come migranti ed ex tossico-dipendenti) significa trasformarle in costi sociali per le nostre comunità, in termini sia di utilizzo di risorse pubbliche che di riduzione di sicurezza sociale e legalità.
Il problema dell’inclusione sociale richiede un approccio di sistema, basato sul dialogo istituzionale e sociale. Esattamente quello che grazie all’iniziativa del Ministro Nordio il CNEL è stato chiamato a fare, innescando ed immettendo in un circuito di reciproca collaborazione e coinvolgimento partecipativo tutti gli attori, a partire dal DAP che dell’intero sistema di reti non può che essere il primo e consapevole protagonista. Una sfida che il CNEL ha accettato nel nome della Costituzione e dei compiti che essa gli ha demandato, individuandolo quale luogo e snodo centrale per l’incontro e la partecipazione dei corpi intermedi all’analisi e alla risoluzione delle questioni sociali ed economiche di rilevanza nazionale. Una sfida complessa che non è possibile semplificare o ridurre a slogan o soluzioni salvifiche di immediata attuazione, ma che comporta invece il reciproco riconoscimento di una corresponsabilità collettiva che unisce istituzioni, imprese, società, di fronte a problemi che rischiano di erodere la coesione sociale e la qualità della nostra democrazia".