La moltiplicazione di contratti collettivi nazionali diversi per le medesime categorie, sia per quanto attiene la parte normativa che – soprattutto – per la parte economica, rischia di far saltare decenni di conquiste normative, legislative e contrattuali volte ad assicurare la omogeneità delle condizioni di lavoro e delle tutele, creando di fatto le condizioni affinché lavoratori di pari qualifica, professionalità, esperienza e menzione svolta, siano sottoposti a trattamenti diversi. Questo è uno degli aspetti su cui si sono confrontati oggi al CNEL Confindustria, CGIL, CISL e UIL. L’incontro è il primo dopo l’accordo del 28 febbraio scorso e la ratifica del “Patto della fabbrica” tra l’Associazione degli industriali e i sindacati.
“È più che giusto che ad indicare le funzioni del nuovo CNEL siano le parti sociali, i rappresentanti delle forze produttive, imprese e sindacati, perché il CNEL è formato da loro e gli obiettivi comuni di crescita economica e sociale del Paese, sono quelli sui quali il Consiglio ha compiti fissati dalla Costituzione. Il controllo della correttezza dei Contratti Collettivi Nazionali e la certificazione della reale rappresentanza delle sigle, sono obiettivi di importanza assai maggiore di quanto appaia a prima vista”. Ha commentato così Tiziano TREU, il ruolo che il “PATTO DELLA FABBRICA" - presentato oggi pomeriggio nel Parlamentino del CNEL insieme a Maurizio Stirpe di Confindustria, Luigi Petteni della CISL, Tiziana Bocchi della UIL e Franco Martini della CGIL - ha affidato proprio al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.
Dei contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti 89 sono sottoscritti da associazioni imprenditoriali che fanno parte del sistema confindustriale e 30 sono sottoscritti dall’Aran. Dal lato sindacale 271 (il 33% del totale) dei contratti sono stati sottoscritti da CGIL, CISL e UIL (o almeno da una delle tre sigle) e ben 552 (il 67%) da altre sigle sindacali.
Il Patto, perfezionato dopo lunghe trattative, rappresenta un passo importante verso regole certe e moderne nel sistema di relazioni industriali italiane, e tocca i punti finora rivelatisi critici: la misura della rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali, il ruolo svolto dalla contrattazione nazionale e i rapporti con il livello decentrato, i contenuti dei contratti e le innovazioni, in particolare sui temi formazione continua, welfare e partecipazione dei lavoratori.
L’incontro di oggi riporta al centro del dibattito il tema delle competenze delle Parti sociali in materia di politiche del lavoro e di qualita dello sviluppo. Le Parti sociali mostrano con l’Accordo di rinunciare alla loro “storica” condizione di monopolio della rappresentanza. Sostanzialmente l’Accordo sancisce che un soggetto che ha rappresentatività sigla i contratti, e non viceversa (cioè non si è rappresentativi perché si siglano contratti).
L’accordo tra Confindustria e sindacati apre la strada, mediante la misurazione dei pesi effettivi delle sigle, a una più corretta applicazione dei diritti costituzionali (come, ad esempio, lo sciopero, da contemperare con il diritto dei singoli a fruire di servizi pubblici essenziali) e affida al CNEL la ricognizione dei confini della contrattazione di categoria, per evitare controversie o incertezze nell’applicazione delle regole contrattuali, e la verifica della qualità e rappresentatività dei contratti collettivi sulla base di elementi oggettivi (quali la rappresentatività dei soggetti stipulanti e l’effettivo grado di copertura in termini di lavoratori coinvolti)”.
Si tratta di compiti strategici, alla luce della preoccupante proliferazione del numero dei contratti nazionali di categoria negli ultimi anni (i cosiddetti “contratti pirata”). L’individuazione dei contratti di riferimento delle varie categorie è un servizio che darà certezza alle imprese, rispetto agli adempimenti loro richiesti, e certezza ai lavoratori rispetto ai loro diritti.
“Il compito di accertamento dell’effettivo livello di rappresentanza di ambedue le parti è indispensabile anche per contrastare la proliferazione di CCNL stipulati da soggetti di dubbia rappresentatività, che spesso coprono situazioni di vero dumping contrattuale. Che si tratti di compiti urgenti è testimoniato dalla proliferazione del numero dei contratti nazionali di categoria. Nell’archivio del CNEL se ne contano ora 868, con un incremento del 74% dal 2010 al 2017. Molti di questi insistono sulla stessa categoria. Ben 213 nel commercio, 68 nell’edilizia, 34 tra i chimici e 31 sia per i meccanici che per i tessili”, ha concluso il Presidente del Cnel Treu, aggiungendo: “Il controllo della rappresentatività delle parti e della congruenza dei Contratti Collettivi Nazionali e l’internazionalizzazione del CNEL saranno le direttrici più evidenti del processo di radicale cambiamento, che intraprenderemo nelle prossime settimane insieme al segretario generale e ai membri della nuova imminente consiliatura”.