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LAVORO: 13 PROPOSTE PER SUPERARE RISCHI E LIMITI DELLA GIG-ECONOMY

LAVORO: 13 PROPOSTE PER SUPERARE RISCHI E LIMITI DELLA GIG-ECONOMY

22 gennaio 2020

Dall’Italia e dal CNEL, dove il 21 gennaio si è tenuta la Conferenza finale del progetto “Don’t GIG Up!”, vengono 13 proposte per provare a conciliare diritti e tutele dei lavoratori e le esigenze di un mercato sempre più competitivo. Le proposte presentate a Villa Lubin e contenute nel documento finale del progetto sono emerse da un lungo lavoro di ricerca e di analisi durato due anni che ha coinvolto diversi Paesi europei.

Il problema della relazione tra legge, contratto collettivo, giurisprudenza e gig-economy è molto più complesso di come normalmente viene rappresentato dai media. Ci sono piattaforme che svolgono funzioni di match-making tra domanda e offerta di lavoro, altre che si limitano a creare un market-place digitale. Anzi, secondo alcuni colleghi nordamericani, ci sono casi di “radical markets” che funzionano secondo le logiche tipiche delle aste. Sono fenomeni eterogenei che debbono essere osservati con attenzione, evitando forme di tecno-fobia e atteggiamenti di ottusità. La legge non basta. Essa deve essere supportata da una buona contrattazione collettiva di settore. Il CNEL, anche in cooperazione con altre istituzioni, si è fatto carico dell’analisi delle dinamiche che governano la gig-economy ed è impegnato nella ricerca delle soluzioni più appropriate per tutelare questi lavoratori, tra cui, con l’Inps, la cd. piattaforma delle piattaforme, la quale permetterebbe di tracciare le prestazioni di lavoro e, nel contempo, il corretto versamento della contribuzione previdenziale”, spiega il prof. Michele Faioli, Consigliere del CNEL.

Dalla consegna di una pizza alla creazione di un logo, da una corsa in taxi alla riparazione di un rubinetto, fino a qualche ora di aiuto con i bambini o in casa: sono tanti ormai i settori e le occupazioni dove la cosiddetta gig-economy, in cui il lavoro è prestato tramite piattaforme digitali come Glovo, Uber e Clickworker, prova ad imporsi, spesso proponendo un modello economico dove retribuzioni e orari di lavoro diventano funzione diretta di consegne e "lavoretti" estemporanei. Si tratta di un modello che soddisfa il consumatore mettendo però a dura prova le già frammentate tutele lavorative e sociali.

I problemi della gig-economy, ormai, sono universali e quindi un primo impulso che viene da questa ricerca internazionale è che occorrerebbe trovare un accordo europeo, almeno per grandi linee”, sostiene il Presidente del CNEL Tiziano Treu.I gig-workers che non sono solo i rider, quelli che vediamo per la strada a consegnare pizze o altri prodotti, sono un numero enorme ed eterogeneo di lavoratori che operano attraverso piattaforme. Ci sono almeno due tipi di piattaforme: da una parte, quelle in cui i lavoratori hanno un rapporto diretto con la piattaforma, la quale permette lo svolgimento di una prestazione a favore di un utente o più utenti, gestendo anche le modalità e i tempi della prestazione, e, dall'altra, quelle che offrono solo un’intermediazione tra chi sa fare un certo lavoro e chi intende beneficiare di quel lavoro o di quel servizio. Quindi occorre trovare regole diverse per i vari tipi di piattaforme. Nel primo caso occorre garantire ai lavoratori le tutele fondamentali in parte già previste dalla nostra legge, come la tutela contro gli infortuni, ad avere una retribuzione “decente”, come sostiene l’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Negli altri casi è ancora tutto da definire”.

Il progetto “Don’t GIG Up!”, cofinanziato dalla Commissione Europea e realizzato da una rete di centri di ricerca e sindacati da Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna e Svezia, tra cui la Fondazione Giacomo Brodolini e la UIL per il nostro Paese, ha sviluppato prima un’analisi comparativa a livello europeo e poi provato ad individuare alcune proposte concrete raccolte nel documento finale (clicca qui per scaricarlo).

Secondo la Sottosegretaria al Ministero del Lavoro, Francesca Puglisi, intervenuta alla Conferenza internazionale “con il Governo Conte 2 siamo fortemente impegnati ad offrire maggiori tutele e sicurezze a questi lavoratori. Un importante risultato è rappresentato dal Decreto Legge n. 101 del 3 settembre 2019 (pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 4 settembre 2019, n. 207, recante "Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali" ndr, ereditato dal precedente governo, convertito, con modifiche, dalla Legge n. 128 del 2 novembre 2019, ha disciplinato la categoria dei cosiddetti riders. Una norma che consente innanzitutto di dare maggiori sicurezze e garanzie a tutti i lavoratori e le lavoratrici delle piattaforme digitali, estendendo il diritto alle ferie, alla malattia e al riposo. La cosa che abbiamo fatto per tutti coloro che svolgono lavoro eterodiretto attraverso le piattaforme digitali in modo continuativo è stata di prevedere la loro inclusione nell'articolo 2 del job Act in modo da farli essere riconosciuti come lavoratori e lavoratrici subordinati. Per i riders abbiamo rinviato alla contrattazione dei sindacati maggiormente rappresentativi la definizione, per esempio, del minimo contrattuale e dunque crediamo che oggi grazie a questo intervento la legislazione italiana in tema di garanzie e tutele per i lavoratori delle piattaforme digitali sia una normativa abbastanza avanzata”.

Fondamentale il ruolo dei sindacati, com’è emerso dalla ricerca comparata condotta nei 5 Paesi UE. 

I lavoratori delle piattaforme - ha commentato la Segretaria Confederale Uil, Ivana Veronese - così come più in generale i tantissimi lavoratori precari che esistono nel nostro mercato del lavoro, nazionale ed europeo, devono essere al centro del lavoro, delle azioni e anche delle proposte politiche di un Sindacato che sappia e voglia collocarsi con efficacia nella contemporaneità. Non possiamo trincerarci dietro un giudizio negativo della tecnologia e della digitalizzazione: dobbiamo chiedere e ottenere protezione sociale, certezza retributiva e previdenziale”.

Scarica il documento finale del progetto "Don't GIG UP"